di VITTORIO FELTRI
Il giorno dopo è tutto diverso. Il campo di battaglia è cosparso di morti e feriti. L’eccitazione dei combattenti si trasforma in malinconia e sgomento. Si comincia a riflettere: ne valeva la pena? Immagino sia questo l’interrogativo che si pone Gianfranco Fini. Il quale per un’impuntatura ha sfasciato tutto; forse anche la possibilità di ricomporre è sfumata. Settimane, mesi di beghe col Cavaliere. La voglia di scalzarlo e la pretesa di imporre alla coalizione la propria linea: umanamente è tutto comprensibile. Ma le corde, a forza di tenderle, si rompono. E quando ciò accade, al primo momento ci si gonfia il petto per la soddisfazione, poi di solito subentra il pentimento. Forse ho sbagliato. Forse ho ecceduto. Avrei fatto meglio a soprassedere. Fini aveva fissato un limite alla sua pazienza: o Silvio ce la fa ad abbattere Prodi oppure si muta registro. Basta con la sua leadership. Si ridiscute la tattica e la strategia. La data fatidica era il 14 novembre, votazione della Finanziaria in Senato. Sappiamo come è andata: male per chi sperava nella spallata. Nel frattempo si è accavallato il problema della gnocca di cui abbiamo discusso nei giorni scorsi. Fini innamorato di una bella ragazza navigata. Striscia la notizia sfrutta il pettegolezzo per fare dell’ironia pesantuccia sulla fanciulla e il suo fidanzato. Il quale perde la testa e accusa Berlusconi di essere il regista dello sfottimento. Silvio nega. Rassicura l’alleato. Ma questi non sente ragione. La nostra amicizia è finita; anzi sai che ti dico? Te la farò pagare. Lascia che arrivi la Gentiloni e vedrai che bello scherzetto ti combino. Questi pressappoco il tono e i contenuti del colloquio. Quindi è già domenica. Alleanza nazionale è radunata ad Assisi. E qui emergono i rancori. Cicchitto è sbeffeggiato, esattamente come Schifani il giorno prima. An dimostra tutta la sua insofferenza nei confronti di Forza Italia impegnata a raccogliere le firme, sotto i gazebo sparpagliati nel Paese, contro il governo. Berlusconi, stanco di liti e incomprensioni nella Casa delle libertà, decide così di demolirla. L’alleanza con Fini, Casini e Bossi non c’è più. Roba vecchia, non regge. E nasce il partito dei sogni berlusconiani. La denominazione per adesso è lunga e complicata: Partito del popolo italiano della libertà. Ma rende l’idea. Un movimentone in cui confluirà chiunque si riconosca nella politica del Cavaliere. Quale politica? Fare. Affrontare le emergenze italiane senza perdere tempo in mille inutili polemiche, senza discussioni sfinenti, senza mediare con alleati che fanno pesare i loro consensi per strappare posizioni di potere. Certo la risoluzione del Cavaliere ha una valenza d’azzardo e una valenza di coraggio non comuni. Ogni sondaggio dava vincente la Casa delle libertà in caso di elezioni anticipate, e lui ha sfasciato il giocattolo nel timore che, tornato a Palazzo Chigi, si riproponga una situazione analoga a quella della legislatura 2001-2006. Durante la quale il premier si scontrava un giorno sì e l’al tro pure con i soci, ciascuno dei quali per dare il proprio assenso chiedeva in cambio una ricompensa. Ovvio. Questa è la logica delle coalizioni. Ne sa qualcosa Prodi costretto a subire quotidianamente i ricatti della cosiddetta sinistra massimalista. Gli italiani si sono resi conto della farraginosità del sistema e delle difficoltà cui va incontro qualsiasi esecutivo. E sono consapevoli di un dato drammatico: quand’anche l’attuale presidente del Consiglio venisse bocciato e sostituito da Berlusconi sostenuto dalla Casa delle libertà, poco o nulla muterebbe. Perché anche il centrodestra, quanto il centrosinistra, è caratterizzato da un alto grado di litigiosità, tale da rallentare l’iter di ogni provvedimento. Di qui la necessità di semplificare e snellire gli apparati. Fassino e Rutelli hanno fuso i loro partiti dando vita a un partitone, il Pd. Berlusconi fatalmente è stato contagiato dalla novità e a sua volta ha meditato di costruire un partito unico. Ma qui si è scontrato con gli alleati. Casini nicchiava. Fini faceva un passo avanti e uno indietro. Bossi valutava. Segno evidente che non c’era un interesse comune, però abbondavano i motivi di attrito. Poi le cose sono precipitate, come sappiamo, ed eccoci davanti al Partito del popolo italiano della libertà. Nato dopo una lunga gestazione della quale Libero nei mesi scorsi ha ampiamente riferito, sfidando l’ironia di molti rappresentanti di Forza Italia, tra cui Tremonti (il più autorevole), di vari osservatori politici, commentatori di quotidiani e di televisioni. Che ci guardavano con compatimento quasi delirassimo. Ricordate, cari lettori, gli articoli dedicati all’attività frenetica di Michela Vittoria Brambilla e di Daniela Santanchè? Ne abbiamo scritti decine fra i sorrisi e gli sfottò dei disinformati. Nulla di grave. I fatti però ci hanno confortato. Il nuovo Partito di Silvio non era nella nostra fantasia, bensì nei propositi del capo dell’opposizio ne e ora sta prendendo corpo, a nostro avviso con parecchie chance di successo ossia di diventare il primo partito del Paese che, per effetto del referendum, avrà diritto, grazie al premio di maggioranza, a occupare il 55 per cento dei seggi. Il referendum sarà vanificato da una tempestiva riforma elettorale? Non importa. Perché tale riforma non potrà prescindere dalle richieste plebiscitarie. L’addio al bipolarismo è scontato; sarà rimpiazzato da un bipartitismo semplificativo. E, aggiungerei, salutare. Gli italiani in fondo desiderano capire e votare per chi garantisce stabilità e un minimo di attenzione alle grandi questioni nazionali. Occorre precisare che ci dispiace per come è finita la collaborazione del Cavaliere con Fini e Casini (Bossi rimarrà, lui è più dritto degli altri). Tuttavia si sa che i divorzi sono laceranti e dolorosi eppure inevitabili in mancanza di pietas. An e Udc potranno sempre aderire al Partito della libertà se ne accetteranno le regole. Non mi aspetto che Gianfranco e Pier Ferdinando si cospargano la testa di cenere, per carità. Ma gran parte dei loro uomini non gradiranno restare esclusi dalla partita. La compattezza di An e dell’Udc è dunque a rischio, data la presenza nell’una e nell’altra di forti componenti berlusconiane non disposte a essere cacciate in un angolo. Sia come sia, si è voltato pagina. E il futuro è tutto da scrivere. In attesa di sviluppi godiamoci questa giornata che ha scosso la palude. E un augurio a Silvio Bonaparte.
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