La prima pagina di Liberodi VITTORIO FELTRI


Fosse solo un problema di saluto più caro ci sarebbe da ridere. Invece ogni occasione è buona per litigare: destra contro sinistra. Hanno voglia i “laici” di insistere che certi schematismi ideologici sono vecchi e fanno parte di un mondo morto e sepolto. Sepolto un corno. Le ideologie in sé sono superate, ma chi le pratica è fra noi e non riesce a ragionare con la mente sgombra da pregiudizi. Risultato. La nostra democrazia non fa un passo avanti e se lo fa, subito ne compie due indietro annullando ogni sforzo collettivo di chiudere una partita finita da tempo. L’ultimo pretesto per rinfocolare la sempiterna polemica fra schieramenti opposti è un manifesto di cui è stata riempita Roma alla vigilia della manifestazione pro legalità e pro sicurezza organizzata da Alleanza nazionale. Il manifesto copiosamente affisso mostra in effigie Gianfranco Fini nell’atto di salutare romanamente secondo il costume fascista. Si tratta di una fotografia recuperata negli scaffali del defunto Msi, quando la destra considerava Benito Mussolini un rispettabile statista nonostante gli errori commessi, comunque non tali da ridurre la portata delle sue opere anche sociali. Chi ha tappezzato i muri della città con quell’immagine anacronistica? Non si sa. Nessuno ha firmato la provocazione e per questo i sospettati sono numerosi, come sempre accade in mancanza di un colpevole accertato. È stato qualcuno più a destra di Fini o è stato qualcuno di sinistra con l’intento di appiccicare l’etichetta “fa scista” alla manifestazione di Alleanza nazionale? Per adesso è impossibile arrivare alla soluzione del giallo. Tutti tacciono, molti ghignano divertiti, qualcuno in privato butta lì dei nomi. Pettegolezzi. E la Polizia indaga. Ma al di là del fatto, interpretabile anche quale scherzo di cattivo gusto, resta la bega che ha scatenato, scoperchiando il pentolone in cui ribollono ancora risentimenti e rabbie di natura ideologica. Ciò significa: bipolarismo o non bipolarismo, proporzionale o non proporzionale, maggioritario o non maggioritario, la politica italiana è inchiodata al passato e a diatribe (eufemismo) mai completamente digerite. Forse la causa dell’immobilismo rimproverato al Palazzo è proprio l’incapacità di chi ci lavora, rappresentando il Paese, di guardare non dico al futuro ma almeno al presente. Tra l’altro, non si comprende che ci sia di strano o di inopportuno nel saluto romano, tanti anni fa, di Gianfranco Fini segretario missino. Dov’è la valenza negativa? Ciascuno saluta come gli garba e non è da un braccio teso (in altra epoca) che si giudica (oggi) l’affidabilità democratica di un leader. Molto più eccentrico, semmai, è il pugno chiuso mai tramontato di parecchi compagni, i quali non soltanto non si vergognano del tradizionale gesto (simbolo di appartenenza al movimento operaio comunista), ma si rifiutano di prendere coscienza del tragico fallimento delle dittature proletarie cui si addebitano milioni di vittime. È incredibile. Circolano senza scandalo decine e decine di immagini che enfatizzano il pugno chiuso, e la fierezza di chi lo stringe, per esempio quella di Fausto Bertinotti, e quando appare un’istantanea di un giovane Fini tutti si stracciano le vesti quasi fossero dinanzi al documento ufficiale di un delitto contro l’Italia repubblicana. Al punto che il presidente di An, pur essendo uomo di mondo e avendone viste di ogni colore nella sua lunga militanza a destra, dicono essersi irritato oltre misura per lo sgarbo. Nel nostro piccolo lo invitiamo a calmarsi. L’episodio non merita la minima considerazione. Credo non vi sia un solo elettore del suo partito che abbia storto il naso per quel manifesto-sberleffo. Chissenefrega di un salutino romano nel quale non si rintraccia alcun riferimento al periodo ducesco, anche perché fatto da un uomo come Gianfranco che è stato sì segretario del Msi, mai però fascista, tanto è vero che nacque negli anni Cinquanta, a regime liquidato. Eventualmente qualche imbarazzo dovrebbero averlo i suoi avversari, quelli che lo criticano per simile sciocchezza eppure non si limitano a serrare le cinque dita per dire ciao ai compagni, ma intrattengono amichevoli rapporti con Fidel Castro e Chavez, e commemorano, a quarant’anni dalla morte, Che Guevara, titolato assassino rosso. Pugno sì, braccio teso no. Perché? In questa formuletta idiota è espressa la contraddizione più stridente dei nostri giorni: si condanna il fantasma del fascismo e si tollera il corpaccione vivo del comunismo.

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