Sarà il famoso architetto ad aprire l’edizione 2007 della manifestazione


“Bisogna evitare, ove possibile, nuove costruzioni e urbanizzazioni”


Sarà l’architetto Paolo Portoghesi ad aprire, domani mattina a Bastia Umbra, la seconda edizione di Oicos Festival, dedicata quest’anno a “Il senso dela terra”. Per l’occasione l’abbiamo intervistato.


MATTEO BORRELLI


Il tema che ha scelto per la sua relazione è Geoarchitettura, questo rapporto tra architettura e terra; perché questo titolo?
“Diciamo che è il titolo anche di un mio libro che tende a mettere l’accento sulla responsabilità dell’architettura, e quindi degli architetti, nel conflitto tra tecnologia e natura. Bisogna che gli architetti prendano coscienza del si rendano conto l’architetto si renda conto che la sua azione è una delle azioni determinanti, direi quella che ha maggior peso nella trasformazione dell’ambiente e quindi occorre un’architettura rifondata a partire dal grande tema “abitare la terra”. Sono anni che pubblico anche una rivista con questo titolo, un tema che ho ripreso nell’insegnamento e anche nella pratica professionale. Purtroppo l’Italia è un paese in cui su questo piano si riesce a fare poco perché manca una sensibilità nei confronti dei consumi energetici, riferimenti bioclimatici, etc…”
Intende dire che non si può prescindere dall’inserimento dell’opera nell’ambiente e nel contesto nel quale è posta?
“Gli unici che nell’architettura realizzano effettivamente degli spazi senza incidere sul bilancio energetico e sull’inquinamento atmosferico sono purtroppo soltanto le popolazioni che hanno un’economia di sopravvivenza. Io faccio sempre un esempio ai miei allievi: a Cuzco, nelle parti alte della città ci sono molti che si costruiscono la propria casa con la terra, con rami dismessi dalle palme, senza operare nessun tipo di trasporto, senza utilizzare materiali esterni e realizzano la propria casa a consumo zero. Quello che noi perseguiamo nelle civiltà tecnologizzate si realizza già spontaneamente nelle civiltà primitive, o comunque in quelle che vivono in condizioni di povertà. Siamo noi che viviamo nel benessere a peggiorare l’ambiente, un peggioramento che però incide su tutto il mondo. Geoarchitettura vuol dire architettura delle responsabilità. Per cui prima di costruire un edificio ci si deve porre il problema di cosa si possa fare per diminuire il conflitto con la terra. Tutte le civiltà si sono basate su delle regole che hanno sì utilizzato la natura, ma rispettando certi limiti. Oggi la tecnologia ha enormemente rafforzato il potere dell’uomo sulla natura e quindi è quasi inevitabile che tenda a abusare di questo potere.
Ma se è difficile influire su chi ne abusa coscientemente, si può invece incidere, attraverso la conoscenza, su chi lo fa in modo inconsapevole. A quel punto la consapevolezza serve a combattere questa incoscienza e quindi ad assumere un atteggiamento consapevole”.
Qual’è il ruolo dell’architettura in questa presa di coscienza? Direi che, soprattutto in Italia dove abbiamo così poco suolo a disposizione, è fondamentale che un architetto, quando partecipa all’individuazione di un piano in accordo con le strutture amministrative si renda conto che bisogna difendere ad ogni costo il terreno rimasto libero. Bisogna puntare soprattutto sul-la trasformazione e in qualche caso anche sulla sostituzione di volumi esistenti piuttosto che sulla costruzione in aree che non sono ancora state urbanizzate. Poi, per quanto riguarda proprio l’architettura in sé, direi che occorre creare una nuova sensibilità per cui l’intervento sullo scenario naturale deve essere un intervento che cerchi di inserirsi con il minor impatto possibile e comunque in armonia con la realtà ambientale. Questo è un aspetto fondamentalmente legato al paesaggio; anche qui in Italia siamo un luogo dove i valori paesaggistici sono molto importanti, quindi occorre una nuova educazione in questo senso, cosa che negli ultimi anni è stata fatta”.
Quindi possiamo dire che in qualche modo l’ambiente, la natura, la materia intesa come suolo deve essere ascoltata prima ancora che si ponga su di essa un’opera, l’opera architettonica?
“Si, da anni predico questa teoria dell’ascolto. L’ascolto vuol dire che quando si costruisce in luogo bisogna anzitutto comprendere questo luogo il quale non è soltanto una realtà fisica, ma è una realtà legata alla memoria, al fatto che gli uomini lo hanno antropizzato. Questo ascolto deve coinvolgere diversi aspetti della realtà, da quello puramente visivo a quello invece legato alla storia, quindi alle abitudini, ai modelli d’uso, alle tecniche agricole, a tutti gli aspetti che hanno contribuito a far si che quel luogo fosse quello che realmente è”.


 

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