di VITTORIO FELTRI


Siamo arrivati all’assurdo che Pechino – Pechino, non Londra – tira le orecchie all’Italia, le impartisce una lezione di civiltà, lancia un monito a tutela dei propri cittadini immigrati nella Penisola; e che il nostro governo invece di replicare, tace imbarazzato, si nasconde dietro la lavagna come scolaretto afflitto da senso di colpa. Senso di colpa per cosa? La comunità cinese ha costituito dentro Milano un’enclave, una sorta di staterello nello Stato dove cerca di imporre proprie regole in contrasto con le nostre, si ribella in forma violenta all’intervento delle Forze dell’Ordine, provoca un casino urbano incontenibile, mette in soggezione la popolazione indigena, minaccia altre sollevazioni. Prodi e i suoi ministri non rispondono. Si acquattano buoni buoni ai piedi della Tigre Rossa, atteggiamento tipico di bestie deboli che intendano farsi perdonare da quelle feroci. Ci voleva niente a reagire, solo un po’ di dignità. Con quale sfrontatezza il governo cinese osa rimproverare il sindaco Letizia Moratti perché, nel pieno dei suoi diritti-doveri, ha represso “la muraglia gialla” infuriata a causa di una contravvenzione elevata a una tizia al volante di un’auto in seconda fila? I mandarini comunisti piuttosto insegnino ai loro sudditi emigrati da queste parti a comportarsi non dico educatamente, ma almeno nell’osservanza dei codici italiani. Accogliere cinesi vagabondi, sfruttatori di lavoro minorile, menefreghisti, che irridono alle leggi e ingaggiano duelli con la Polizia: è un lusso che non possiamo concederci. Già abbiamo la Sicilia intimidita dalla mafia e succuba delle sue prepotenze. Già abbiamo Napoli in cui la camorra viene applaudita e incoraggiata a delinquere, mentre i carabinieri sono fischiati e sfottuti. Già abbiamo la Puglia dove la Sacra corona unita ha sostituito lo Stato (e la Madonna) nel cuore e nella vita del popolo. Già abbiamo alcuni milioni di musulmani che prima ubbidiscono al Corano, poi, eventualmente, alle nostre norme; chiedono e ottengono finanziamenti per fondare moschee nelle quali predicare l’odio per gli infedeli, cioè noi deficienti cultori della tolleranza e del multiculturalismo. Già abbiamo un sacco di grane che non sappiamo affrontare con risolutezza, e ora ci tocca sopportare anche le soverchierie dei cinesi protetti dal loro governo senza vergogna, senza pudore. Sembra una presa in giro. La Cina ignora qualsiasi principio democratico-liberale, pratica disinvoltamente le esecuzioni capitali di chi sgarra, reprime nel sangue ogni disordine, calpesta sistematicamente i diritti umani e civili, consente l’eliminazione fisica delle bambine in omaggio al contenimento demografico; e si lancia in un anatema contro di noi perché abbiamo fatto la bua a cinquanta mascalzoni che esigono di continuare indisturbati a fare il comodo loro nel disprezzo della legalità. Avessimo un esecutivo decente, con un pizzico di orgoglio, domani mattina si avvierebbero controlli rigorosi. Quanti sono in Italia i cinesi clandestini? Dieci, venti, trentamila? Siano rimpatriati. E non ci vengano a dire che questa gente non sa neppure di dove viene. Il discorso regge finché si ha che fare con gli africani, tutti uguali, indistinguibili, lingue difficili da comprendere. I cinesi sono cinesi: per identificare la loro nazionalità basta guardarli in faccia. Impacchettarli e rispedirli al mittente spocchioso è l’unica soluzione ragionevole se non altro per evitare di beccarsi rimbrotti dai gerarchi pechinesi con la faccia di bronzo. Né ci vengano a dire, i Prodi e gli Amato, che siamo razzisti. Che barba con questa storia del razzismo. Degli uomini non sono il colore della pelle e neppure le loro abitudini, le scelte religiose o le opinioni politiche a darci fastidio; semmai sono la cattiva condotta, l’attitudine a commettere reati, a infischiarsene delle leggi, il rifiuto a integrarsi nelle nostre città in cui lavorano, mangiano, allevano figli, sfruttano le strutture sociali. Non esiteremmo – se fosse possibile – a prendere per la collottola i mafiosi italiani di ogni genere e estrazione, e a mandarli al confino in Cina per un bel bagno rieducativo sotto le grinfie del regime comunista. Siccome non siamo nelle condizioni di puntare a tanto, per favore toglieteci di torno i cinesi clandestini, almeno quelli che, arrivati qui abusivamente, anziché ringraziarci per l’accoglienza, ci sono ostili e lo dimostrano.

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