di VITTORIO FELTRI
Conviene dirlo senza giri di parole. Piero Fassino è sotto tiro e non sarà facile per lui sopravvivere. Gli attacchi gli arrivano dall’interno della Quercia e dall’esterno, cioè dalla maggioranza di governo e dall’opposizione. Prendersela col segretario è di moda. Succede sempre così. Quando uno scaglia la prima pietra trova un sacco di gente pronta a imitarlo. Sicché Fassino qualsiasi cosa faccia, si becca un sasso in fronte. D’altronde c’è chi attira schiaffi e c’è chi, come Fassino, attira ciottoli. L’uomo è antipatico. Sempre nervoso, isterico, intollerante. Quando appare in tivù – sarà appunto il suo modo di porsi – provoca un fenomeno abbastanza raro: i telespettatori che non si riconoscono nella sua fede politica, abbrancano il telecomando e si affrettano a cancellarlo dal video. Ma queste sono sciocchezze. Anche D’Alema non era un simpaticone, con quel suo sorriso sardonico e saccente, eppure il popolo televisivo lo seguiva fino all’ultimo, magari smoccolando. Bisogna aggiungere che Fassino non ha agito né meglio né peggio dei suoi predecessori. Ha menato il can per l’aia rossa riuscendo perfino a vincere un’elezione, pur con una coalizione stracciona e priva di un obiettivo comune che non fosse l’abbattimento, possibilmente fisico, di Silvio Berlusconi. Da un punto di vista tecnico, il compagno Piero – tra una sbandata e un’altra – non avrebbe potuto fare di più. Nonostante ciò è in crisi. Molti gli attribuiscono non si sa quali errori e vogliono cacciarlo. Cercheranno di farlo in aprile quando si svolgerà il congresso dei Ds, che sarà una specie di regolamento di conti. Non so se ce la faranno. So tuttavia che lui, il segretario, ne uscirà con le ossa rotte non fosse altro perché le ossa sono le sole cose che ha. I diessini non hanno tutti i fili attaccati. Quando erano ancora comunisti, nel ’91, per volontà dell’allora segretario generale Occhetto decisero di seppellire il Pci e di dar vita a un nuovo partito, anzi, a una nuova sigla. Alla seduta clou, io c’ero e ne ho visto delle belle. A parte le lacrime di Occhetto penose – va ricordato l’atteggiamento dei signori compagni. Mentre tumulavano la salma comunista, già sotterrata in Urss e nei Paesi satelliti, alcuni di essi pensavano già di riesumarla. E in effetti la riesumarono all’istante, dando corpo a Rifondazione comunista. Il capo dei nostalgici divenne in poco tempo Libertini che morì in fretta e fu sostituito da Bertinotti, ora presidente della Camera, per dire in quale razza di Paese siamo. Si trattò di una classica scissione. Da un canto gli occhettiani in gramaglie, dall’altro i rivoluzionari da diporto agguerriti. Uno spettacolo, anzi due spettacoli, identica scenografia e identico copione. Perché ex comunisti e comunisti si erano sì separati ma in casa. Quali fossero le differenze fra gli uni e gli altri nessuno lo ha mai capito. Infatti sono sempre stati alleati tranne una volta, quando cadde il governo Prodi (bei tempi), e i rifondaroli ritirarono l’appoggio al Professore favorendo l’ingresso a Palazzo Chigi di D’Alema. Al quale mancavano voti per governare, sicché – miracoli della politica – i rifondaroli medesimi si spaccarono e una parte di essi, sotto l’egida di Cossutta e Diliberto, costituì il partito dei comunisti italianiche si infilò nella maggioranza. Diliberto guadagnò la poltrona di Guardasigilli e si segnalò al mondo rimpatriando (dagli Usa) la terrorista Baraldini, eroina della sinistra, attualmente libera e gioconda. La storiella l’è minga finida (non è greco antico bensì milanese moderno). A questo punto occorre una breve ricapitolazione. Nella stessa area figurano adesso due partiti comunisti (Rifondazione e Comunisti italiani) e un ex partito comunista, cioè i Ds (già Pds). Uno pensa: be’, forse bastano. Nossignori. Nei diessini nel frattempo è nato un movimento, il cosiddetto correntone, cui hanno aderito parecchi compagni. Un partito, due anime (de li mortacci loro). E Fassino per tirare a campare deve tenere un piede nel correntone e l’altro nel gruppo maggioritario. Un bordello del genere non lo regge nessuno. Fassino sì. Lo regge dal 2001. Sfido che è esaurito. Sfido che è isterico. Sfido che ha gli occhi spiritati. A un dato momento, era necessario per la sinistra predisporsi a nuove elezioni, quelle dello scorso anno. Toccava ai Ds, in quanto partito di maggioranza relativa, esprimersi sul candidato premier. Chi scegliamo? Negoziati, incontri, chiacchiere, beghe. Non emerse un nome convincente. Cominciarono le consultazioni a tutto campo nello schieramento. Qualcuno estrasse dal cilindro Rutelli e fu sommerso dai fischi. Rutelli? Ma se nel 2001 fu proprio lui a farci perdere… Allora chi? Amato? Ma non diciamo bambanate. Cerca di qua e cerca di là, senza costrutto, ecco la soluzione: Prodi. Ancora Prodi? Sì. È l’unico temerario, l’unica faccia di bronzo in grado di rimettersi a guidare la truppa che lo cacciò a calci nel culo spedendolo in Europa. Quando fu data la notizia, la base trasecolò. Siccome però è una base di bamba e di finti tonti, ingoiò il rospo pubblicamente, votando per Romano addirittura alle primarie. Come si spiega che una coalizione composta da due partiti comunisti, un ex partito comunista, un partito verde, un partito socialista, una Margherita di paternità dubbia eccetera sia costretta a ripescare un vecchio democristiano già ministro di un governo Andreotti, già boiardo di Stato, cioè Prodi, per af frontare il giudizio dell’elettorato? Non esiste mistero. Il problema è che della sinistra tout court non si fidano neanche quelli di sinistra, i quali in effetti preferiscono nascondersi sotto una fetta di mortadella. Stando così le cose, ovvio che la sinistra stessa mediti di darsi un altro involucro nella speranza di rassicurare i cittadini progressisti. Di qui l’idea di fondare il Pd, Partito democratico, in cui far confluire i diessini fassiniani, le margherite rutelliane e ospiti occasionali. La parola d’ordine è: dimenticare il comunismo che mena gramo. Comprendo l’esigenza. Ma c’è un ma. Quelli del correntone Ds, che hanno gli abiti e la mente foderati di rosso, pretendono di conferire la propria impronta al nuovo partito, mentre Fassino – giustamente obietta: se conserviamo elementi di comunismo, inutile mutare contenitore; senza contare che la Margherita non ci sta a fare da stampella ai vecchi tromboni del marxismo. Risultato. Tutti sono favorevoli alla creazione del Partito democratico ma ciascun gruppo aspira a crearlo a propria immagine e somiglianza. È evidente che con queste premesse il nuovo partito o non si farà mai oppure sarà una federazione priva di denominatore comune, un’accolita di sbandati esattamente come l’Unione. Tanto varrebbe tenersi l’Unione. Intendiamoci, gli sforzi di Fassino per trovare un’intesa sono lodevoli, ma anche un po’ velleitari, destinati a un flop. Nella Quercia anziché darsi una mossa e agevolare il compito del segretario, ci si impegna per ostacolarlo. Tutti addosso al compagno Piero il quale finirà per perdere la trebisonda e la segreteria. È già sulla buona strada. D’altronde questa è la sinistra italiana, una schifezza che fa piangere ricchi e poveri. Una sinistra senza bussola, vecchia e marcia, praticamente comunista. E mi fermo qui perché ho la nausea. Come voi, immagino.

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