L’ensemble polifonica “Città di Bastia” festeggia il suo sodalizio con Roberto Tofi
Grande commozione nella chiesa di San Michele Arcangelo
Un’occasione per premiare il tenore Camilletti, giunto al suo primo decennale di permanenza
STEFANO RAGNI
BASTIA – Un decennale è sempre una cosa seria e il coro polifonico Città di Bastia festeggia con entusiasmo il suo sodalizio con Roberto Tofi, il maestro di mano sicura e di indiscutibile competenza stilistica che ha saputo guidare la formazione verso traguardi più che ambiziosi. E tanto che di ricorrenze si tratta, si consegna una targa anche al tenore Camilletti per il suo primo decennio di permanenza nel coro. Si rischia dunque la commozione in questa chiesa di san Michele Arcangelo dove un folto pubblico trascorre una bella serata con un insieme polifonico che porta il nome della cittadina in giro per l’Europa. Anche se Tofi, quando prende la parola alla fine del concerto, ricorda che di bastioli tra i cantori ce n’è soltanto la metà, segno che il pendolarismo intercomunale è una realtà che, se da una parte indica popolarità, dall’altra è sintomo di una non totale condivisione tra il tessuto umano locale e l’impegno che l’esistenza di un coro di spiccate qualità impone alla comunità. In tempo di bilanci comunque molto positivi il polifonico sfodera i migliori numeri con cui ha saputo offrire alle celebrazioni dell’anno mozartiano una misura di repertorio intelligente e ben calibrata.
E si inizia proprio dalla piccola pagina che il prodigioso fanciullo non ancora decenne volle offrire al British Museum nel 1765, il Sacred Madrigal dal titolo “God is our refuge”. Alla piccola, ma intricata trama polivocale si affianca il Quaerite primum regnum Dei K 86, il pezzo con cui Mozart affrontò l’esame di diploma dell’Accademia Filarmonica di Bologna. Per l’epoca era come conseguire un master in una prestigiosa università e il giovane salisburghese, ad onta di quanto Pupi Avati raccontava con tenera maestria nel suo film “Noi tre”, dovette trovarsi un po’ in difficoltà con le rigide e astruse regole del contrappunto dotto, se, come risulta dagli atti, il prudente maestro Martini ci mise la mano per qualche correzione. Sorretti dalla concertazione all’organo di Eugenio Becchetti i cantori bastioli inarcano lo spessore ritmico e lo smalto timbrico nel fragrante percorso della Missa Brevis K 194 supportati da un ottimo quartetto di solisti, Elena Bertini, Rosalba Petranizzi, David Sotgiu e Alessandro Avona. Le cose migliori si ascoltano comunque nella prima parte della serata, dove il coro snocciola le sue migliori produzioni, dalla tersa polifonia romana di Da Victoria che contempla l’indecifrabile enigma dell’Incarnazione (O magnum mysterium) all’Ave Maria di Grieg, una preghiera soffice come la neve di un innocente mattino natalizio. Incastonato al centro lo spunto solistico haendeliano di Mayke Suurmond, Tofi si concede il lusso di due incantevoli pagine del repertorio novecentesco (Berce e Busto) concentrandosi nel lusso di guidare un coro che sa cantare piano con eleganza, ma con spessore.
Il maestro toscano accarezza la storia con God rest you merry gentlemen, un canto della tarda rinascenza inglese che, per il elevatissimo tasso di aristocraticità, ricorda come davanti al presepe l’appartenenza alle diverse classi sociali resti comunque un fattore ineliminabile. Per i meno fortunati resta la consolazione dell’Adeste fideles, un’acclamazione di schietto sapore popolare anche se l’adattamento di Greatorex è qualcosa di veramente complicato.
Nonostante il giubilo dell’Alleluja di Haendel concesso come meritatissimo bis, resta il mistero di quel fischio acustico proveniente dall’amplificazione che ha disturbato tutta la seconda parte del concerto.
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