Il capo non parla però c’è una donna a accusarlo
 
— PERUGIA —
VOLEVA USCIRE dal giro. Voleva tirarsi indietro ma Maria Geme, 42 anni di Bastia, detta ‘Daniela’ — titolare di fatto di un call-center di Perugia — sarebbe stata minacciata.
La frode sul filo degli ‘899’ riserva ulteriori inediti particolari dopo l’arresto di 31 dei 33 indagati colpiti da ordinanza di custodia cautelare.
Quasi tutti in carcere, tranne due donne alle quali il giudice, Nicla Restivo, ha concesso gli arresti domiciliari per poter restare con i loro bambini.
Se Roberto Minelli, «l’amministratore unico» di questa holding del crimine telefonico si è avvalso della facoltà di non rispondere, come pure il suo «direttore», Nello Rometta che dal quartiere generale di Ponte San Giovanni gestiva i presunti affari illeciti del gruppo, parlano gli altri arrestati.
Alcuni al giudice raccontano i retroscena di una ‘cupola’ che non avrebbe risparmiato intimidazioni a chi non stava al gioco.
Geme — difesa dagli avvocati Carlo Bizzarri e Gabriele Binaglia — parla per ore al gip e racconta la sua verità sulle chiamate ai call-center.


E’ VERO — ammette —, aveva siglato un patto, un accordo commerciale con Minelli per ricevere una serie di telefonate ai suoi ‘899’ con il costo fisso alla risposta di 12.50 euro. Mentre solitamente lei preferiva ‘agganciare’ i clienti e incollarli al telefono per far lievitare i ricavi.
Al presunto promotore dell’organizzazione avrebbe corrisposto 5 euro per ogni chiamata ma — stando al suo racconto — quando si accorse che i ‘telefonisti’ di Minelli stavano sviluppando un traffico anomalo, perché esorbitante, per paura che il provider (locatario delle numerazioni a valore aggiunto) si accorgesse avrebbe deciso di staccare la spina. Motivo per cui — è il racconto al giudice — sarebbe stata minacciata.
Geme è una delle 10 donne finite nella rete di polizia postale e carabinieri. Tra queste anche la compagna del capo, Maria Rosa Basilico — difesa dall’avvocato Luigi Luccarini —, che sarà interrogata sabato a Civitavecchia dove è stata arrestata.
Ma la maxi-frode ruota tutta attorno alla mente-Minelli. Da una parte infatti avrebbe costituito una rete ben ramificata in Italia — Sardegna, Toscana, Marche, Lazio, Emilia-Romagna e Campania — di responsabili di zona che a loro volta pagavano i ‘telefonisti’ per agganciare abusivamente le linee telefoniche di rete fissa di ignari utenti e chiamare i suoi numeri ‘899’. Dall’altra avrebbe immesso sul mercato dei call-center la vantaggiosa offerta fraudolenta — secondo la procura — a vantaggio di altri titolari di centri servizi di telefonia. A loro chiedeva un aggio per mettere in moto la sua ragnatela di telefonisti. Ai quali indicava quali numeri chiamare e in che modo.
«Eh, lui se vuole andare di fretta invece di farne cinquecento ne fa quattro — si lamenta il capo con un responsabile di zona — ….a me se ne fa 400 e me li fa fatti bene io sono più contento, se lui me ne vuole fare seicento e fatti male che il mese di settembre non prendiamo niente è meglio che prende un elicottero che se lo tira su e se lo portano via, guarda perché…».
I pagamenti avvenivano poi alle poste, «ricaricando le post-pay dei propri collaboratori».


ORA PERÒ, dopo la scoperta di contatti tra lo stesso Minelli e il titolare di una società a monte dei call-center (che acquisiscono interi pacchetti di numerazioni) gli inquirenti sono decisi ad andare fino in fondo. Per scoprire se ci sono altri soggetti coinvolti e «eventuali collusioni — scrive il giudice — con le società di telefonia».
Gli indagati sono difesi dagli avvocati Pesci, Zinci e Panzarola. 

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