di VITTORIO FELTRI



Il vantaggio di essere proletari dalla nascita consiste nella speranza di non esserlo più e di diventare borghesi allo scopo di apprezzarne i privilegi. È difficile passare da una classe all’altra, costa fatica, sacrifici e ci vuol fortuna. Non tutti ce la fanno. Fausto Bertinotti ce l’ha fatta. Di lui sapremmo poco se non avesse provveduto a rivelarsi con la pubblicazione di un’autobiografia uscita, se non erro, negli anni Novanta quando la popolarità del comunista gentiluomo raggiunse il diapason. Sicché abbiamo scoperto che è nato a Sesto San Giovanni ovvero la Stalingrado italiana. Figlio di un ferroviere, e si sa che i ferrovieri, come i tipografi (estinti), costituivano l’aristocrazia operaia, e di una bella signora dalla quale ha ereditato tratti ed eloquio eleganti. Casa modesta, ma non completamente sprovvista di libri. Soprattutto genitori sensibili al fascino della cultura e delle professioni alte. I soldi comunque erano pochi e l’epoca era quella che era: Fausto si diplomò perito industriale. Non male se si considerano i tempi: a cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. Cosa poteva fare il figlio di un ferroviere, neoperito industriale, all’inizio degli Anni Sessanta? Due opzioni: iscriversi al Psi (fortemente nenniano) o intraprendere l’attività del sindacalista. Nel dubbio, Bertinotti imboccò entrambe le strade. Ed eccolo sindacalista e socialista con ufficio alla cigielle. Il Psi all’epoca era un bordello non privo di qualche intelligenza sprecata. Anzi. Il Psi è sempre stato un bordello. Un esempio. Nel 1962 i socialisti entrarono nell’area di governo, appoggiando dall’esterno il ministero Fanfani. Immaginarsi le polemiche. Malagodi e i suoi liberali strillavano come impazziti: no, i socialisti no, con loro sarà un disastro: ora si aprono le porte alla sinistra, poi si spalancheranno ai comunisti con tanti bei saluti al sano moderatismo italico. Intendiamoci, aveva ragione Malagodi – lo si è costatato – ma chissà perché noi di sinistra (scrivo noi perché nel mucchio selvaggio c’ero anch’io, mea culpa mea culpa mea maxima culpa) allora consideravamo il segretario liberale un idiota, paladino dei ricchi, che nessuno ascoltava tantomeno i ricchi i quali avevano già capito che il mondo si dipingeva di rosso e conveniva adattarsi cromaticamente. A sinistra si litigava; per altri motivi ma si litigava di brutto. I comunisti rimproveravano ai socialisti di vendersi ai democristiani; e i socialisti anziché rispondere per le rime ai comunisti bisticciavano fra loro. Una parte, quella estremista, si staccò dalla casa madre e fondò un altro partito socialista: il Psiup (partito socialista italiano di unità proletaria). Cari amici lettori, secondo voi, in quale dei due tronconi del sole nascente si rifugiò Bertinotti? Sicuro, in quello pazzo, massimalista, elitario e destinato al suicidio. Fausto non è mai cambiato se non in peggio. Oggi per esprimere un concetto semplice ci mette un quarto d’ora, duemila parole, una barba da perdere i sensi. In quegli anni forse era più svelto di lingua, ma quanto a menare il can per l’aia era già un campione. Lo si evince dai fatti. Ricapitoliamo. Socialista, sindacalista, psiuppino e infine senza tetto, quindi pronto a entrare nel Pci. Benedetto ragazzo, non facevi prima a iscriverti subito al Pci? Nossignori. Lui è così. Se deve andare da Milano a Pavia, passa per Genova; la prende lunga perché ha bisogno di valutare. Pensate il giro dell’oca che ha fatto per diventare presidente della Camera. Chi gli avrebbe impedito di diventarlo nel 1996, dopo la vittoria di Prodi alle elezioni (badate bene, ho detto Prodi, non Cavour)? Nessuno. Sarebbe bastato che Rifondazione si fosse accomodata al governo e automaticamente a Fausto sarebbe spettato un seggiolone, un ministero o una presidenza. Tanto per complicarsi la vita, assecondando la propria vocazione a incasinarsi l’esistenza, egli scelse l’appoggio esterno a Mortadella che pugnalò col sorriso sulle labbra. Direte: avrà avuto buoni motivi. Buoni motivi per accoltellare Prodi non mancano mai, d’accordo. Ma nella circostanza Fausto uccise solo per il piacere di uccidere e di vedere D’Alema calpestare la salma di un ex amico. Il pretesto, il movente del delitto furono le 35 ore. O tu Mortadella le approvi o io me ne vado. Mortadella non poteva dargliele e lui, il segretario di Rifondazione, se ne andò lasciando Romano in brache di tela. Nel 2001 si torna alle urne, l’Ulivo e la Cdl preparano le candidature adatte al semimaggioritario, e Bertinotti fa un capriccio e corre per conto suo. Risultato. Trionfo del Cavaliere. Ora è tutto chiaro. Fausto è presidente di Montecitorio. Siamo nel 2006. Significa che il nostro ci ha messo oltre dieci anni a chiarirsi le idee, a pretendere e a ottenere la cadrega, la terza in ordine di importanza. Ci stupiamo ancora perché il governo è talmente tardo da finire sempre lungo la strada sbagliata? Per forza. Con gente come Bertinotti (i suoi tempi sono mediorientali) la rapidità di riflessi non può essere la dote spiccata dell’esecutivo. Mi corre però l’obbligo di riconoscere che Fausto, pur con la sua lentezza (dimostrata in questo articolo), arriva dove vuole. Eccome se ci arriva. Guardate come si comporta ora da terza autorità dello Stato. Sembra un re. Ha imparato alla perfezione a stare nel Palazzo. Lui e la moglie sono una coppia fantastica per ogni rotocalco uso a pubblicare pezzi laudatori e conformistici. Fausto e la sora Lella sono i più fotografati e forse i più amati dalla stampa rosa. E c’è da dire che nonostante ciò hanno conservato l’aplomb; e guadagnato in compostezza, al punto da disertare per riservatezza le spiagge italiane e le località più mondane. Trascorrono il tempo libero in Umbria nel casale acquistato e ristrutturato dal signor presidente dove siconcedono, in piscina, qualche bagno lontano – come scrivono i cronisti specializzati in pettegolezzi – da occhi indiscreti. Ma che bella storia. Il tardo Bertinotti quando ci si mette non è mica poi tanto tardo. Nell’apprendere alcune mosse tipiche di chi sa stare al mondo è stato rapidissimo. A un dato momento, in agosto, si è consultato con la moglie: come potremmo concludere degnamente le ferie? È sbocciata l’idea: andiamo in uno di quei posti in cui si unisce il dilettevole alla opportunità di perdere qualche chilo. E sono partiti. Destinazione? Uscio, penserete voi convinti che tutto sommato Bertinotti è pur sempre un ex sindacalista, un comunista rifondatore, amico di Marcos e di Castro, di Casarini e di Caruso e anche di Luxuria, che della compagnia sembra il più affidabile. Sbagliato. Uscio è roba nostra, roba da ceto medio, da borghesini e non da apprendisti sciuri come i Bertinotti, gente che ormai ha preso il volo. Il volo per Quiberon, località esclusiva. Francia, costa bretone, molto chic, ma così chic che più chic non si può, perfetta per brillanti allievi sciuri. Apri la finestra dell’hotel e l’Atlantico ti saluta con uno spruzzo in volto. Adorabile la cucina. Pesce pesce, tanto pesce e la ciccia va giù; massì, stasera concediamoci ostriche, ogni tanto fa bene uscire dalla regola. E poi quel negozietto pieno di preziosissimo cachemire che solo ad accarezzarlo ti senti un sciur. Effettivamente Quiberon è una delizia, ma non ci arrivi mai. Con gli aerei di linea è uno strazio. Decolli da Malpensa alle 7,15, capirai, una levataccia. Atterri a Parigi-de Gaulle alle 8,45. Riparti da Parigi alle 10 e arrivi a Orly alle 11. Non è finita amore mio. Decolli alle 13,30 per Rennes dove metti piede alle 14,45. Alle 15,15 sali in auto e alle 17,30 ti scaricano a Quiberon più morto che vivo. Impossibile, non è una vacanza ma un tormento. Qui serve l’aereo di Stato. Scusa, non fosse che per ragioni di sicurezza, ti spetta, Fausto, l’aereo blu. Dài fattelo dare. Ve lo immaginate il presidentedella Camera, per quanto con un passato da sindacalista comunista, salire e scendere dai jet, stare in coda al metal-detector, trascinare valigie e aspettarne mezzorala riconsegnadavanti al nastro trasportatore? Dica la verità presidente Bertinotti: si è cuccato, lei con signora, l’apparecchietto di Stato. Ha fatto bene. Ma lo dica, compagno.PRESIDENTE OPERAIO Il presidente della Camera Fausto Bertinotti in questi giorni è intervenuto sulle pensioni: «Ogni volta che vado alla Fiat trovo operai più giovani di me che sembrano più vecchi»

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