di VITTORIO FELTRI
Le reazioni di Prodi, Fassino e compagni all’incontro Berlusconi-Bush sono allucinanti. Parlano loro che hanno sempre osannato dittatori sanguinari
Avolte non c’è nulla di più incredibile della realtà. Leggo le dichiarazioni della sinistra sulla visita ufficiale di Berlusconi negli Stati Uniti, sul suo discorso al Congresso, e allibisco. I compagni di merende, i fidanzati di Unipol, di Consorte, i nipotini stolidi di Stalin deridono il premier perché laggiù, oltreoceano, ha ribadito fedeltà all’ex Patto atlantico, all’alleanza tra Paesi occidentali basata sull’amore per la democrazia e la libertà. In due parole, il loro antiamericanismo viscerale, irrazionale, è emerso con virulenza in questa circostanza: odio per Bush e per il suo amico Cavaliere. D’altronde siamo in campagna elettorale, obietterà qualcuno, e i disperati legionari di Prodi non posseggono altre armi all’infuori della rabbia e dell’invidia nei confronti di chi ha vinto la guerra fredda. Ma ciò non basta a giustificare l’esplosione di rancore che caratterizza i commenti alla performance berlusconiana nelle terre lontane d’America. C’è qualcosa di più. C’è una sorta di imbecillità, un complesso di inferiorità degli ex marxisti frustrati dalla sconfitta e dall’incapacità di risalire la china. Fa pena la sinistra italiana; e suscita disgusto. Un titolo del Corriere della Sera di ieri è istruttivo. Sentite: “L’Unione accusa: una vergogna per il Paese”. La vergogna sarebbe Berlusconi che davanti al Congresso ha parlato in modo sobrio e convincente della gratitudine italiana per quanto gli Usa hanno fatto, con sacrifici umani, allo scopo di restituirci la libertà dopo la tetra parentesi nazifascista. Come si fa a dire certe bestialità? L’autentica vergogna sono loro, gli ex comunisti e i loro amici opportunisti, che da una vita marciano contro gli Stati Uniti, ne contestano la politica e le scelte internazionali in difesa della democrazia. La vergogna sono i no global, gli ammiratori di Fidel Castro, di Marcos; sono quelli che si schierarono con Stalin, con Kruscev, con Breznev e non batterono ciglio nel costatare l’invasione dell’Ungheria, della Polonia, della Cecoslovacchia, l’aggressione dei carrarmati alla gente che si ribellava all’oppressione della falce e martello, dell’imperialismo sovietico, e rimasero indifferenti ai morti ammazzati dall’Armata rossa, alle cataste di cadaveri nelle strade di Budapest e di Praga. Come si fa a dare addosso a Berlusconi applaudito dal Parlamento statunitense? Come fa Fassino a dire del Cavaliere: uno scolaretto intimidito da Bush, solo perché il premier è stato accolto con onore nella capitale del Mondo? Come fa Diliberto a dire: Berlusconi fa schifo perché ha stretto le mani insanguinate del presidente americano reo di aver risposto ai terroristi delle Torri gemelle con la dovuta energia? Deprimente. E Prodi? Anche lui, ex ministro del governo Andreotti, democristiano molliccio e sudaticcio, si è associato al coro conformista ostile non tanto al Cavaliere, il che rientra nella prassi un po’ idiota della propaganda elettorale, quanto alla Casa Bianca, alla sua volontà di non soccombere agli assassini del fondamentalismo islamico dilagante e crescente. Bisogna avere la faccia come il culo a predicare contro Washington quando si hanno alle spalle settanta anni di sudditanza a Mosca, di ossequiosa ubbidienza ai suoi ordini. A proposito. Leggetevi l’articolo di Renato Farina, oggi su Libero, nel quale egli descrive i legami dei nostri connazionali comunisti con la loro patria sovietica. Prima di aprire la bocca, i Fassino, i D’Alema, i Diliberto e gli altri eredi dello stragismo rosso dovrebbero sciacquarsela con un distillato di democrazia americana. Anzi. Invece di concionare, vadano a nascondersi per aver aderito all’Utopia, questa sì intrisa di sangue, che squassò il mondo e in parte ancora lo squassa. Rammentino, anche i ribelli all’acqua di rose del Manifesto, le simpatie per Mao, per la rivoluzione culturale cinese che fece più vittime della peste. Rammentino il loro amore per massacratori alla Pol Pot; rammentino la squalificante pagina del Vietnam. E non diano lezioni a Berlusconi né ad altri che hanno scelto di stare assieme all’Occidente (con tutti i suoi difetti) piuttosto che accanto ai progettisti dei gulag, agli sterminatori dei kulaki. Niente lezioni, da loro. Stiano zitti. Spariscano. Si travestano. Si buttino nel Tevere. Purché la smettano di insegnare ad altri ciò che non conoscono né mai conosceranno per disonestà intellettuale: la coerenza. Non possono dire a Berlusconi, infatti, che è uno scolaretto intimidito da Bush, loro che parteciparono in massa ai funerali di Breznev, furono legati a Gorbaciov fino all’ultimo istante, si accorsero del crollo del muro di Berlino solamente nell’istante in cui gli crollò in testa. Meglio essere filoamericani che essere stati filosovietici o filocinesi o filovietnamiti. I casi sono due. O i comunisti erano in malafede o deficienti. Negli anni “fulgidi” della dittatura del proletariato, qualunque fesso si recasse in un Paese dell’Est ovvero d’Oltrecortina, foss’anche solo per andare a caccia (nella confinante Iugoslavia), quando tornava in Italia e si precipitava al bar Sport per raccontare la sua avventura agli amici, manifestava con ricchezza di particolari il proprio orrore per le nefandezze viste. Chiunque si recasse in Ungheria con la valigia piena di calze di nylon onde godere delle grazie d’una fanciulla magiara si rendeva conto della follia e sgangheratezza comuniste; chiunque tranne loro, i compagni. Non ci vengano ora a dire che ignoravano. Ma quale ignoranza. Fingevano di ignorare. Chiudevano gli occhi e gli orecchi pur di continuare a coltivare il sogno scemo del collettivismo. Deficienti o in malafede? Opterei per la seconda ipotesi. Lo dico per salvare la loro intelligenza. Me ne siano grati. Chiedo una piccola cortesia: giù dalla cattedra. Non ci insegnino come si fa a essere liberali. Non pretendano di dare del coglione a Bush e a Berlusconi. Coglioni siete voi, ex comunisti della malora. E se vi capita di incontrare il Cavaliere o il presidente americano toglietevi rispettosamente l’elmetto; gettate la falce e il martello. Avete incassato miliardi di rubli in cambio del vostro tifo per gli assassini. Eravate alleati dell’Urss mentre il nostro Paese, l’Italia, era alleato degli Usa. Eravate la quinta colonna sovietica in casa nostra. Questa si è vergogna. Berlusconi forse non è nessuno, di per sé, ma se si paragona a voi pistolini di Stalin e di Breznev, è un gigante. Pedalare, compagni, pedalare. Magari vincerete le elezioni, perché il comunismo è una malattia mentale inguaribile, però la storia vi ha già condannati; state giusto bene accanto ai terroristi iracheni, ai palestinesi delle bombe umane nelle discoteche d’Israele, ai demolitori delle Torri gemelle, ai cinesi delle esecuzioni con colpo alla tempia, ai lacché di Castro, ai fondamentalisti musulmani tagliatori di teste. A ramengo.
Deficienti o in malafede?
di Vittorio Feltri
L’EDITORIALE del 04-03-2006
Mi son dimenticato di disonesti e arricchiti
Egregio direttore, lei è veramente un essere squallido, un reazionario disonesto e pieno di soldi fino al collo grazie all’ignoranza del popolo coltivato dalle televisioni berlusconiane. Sputa addosso ai miei ideali e a quelli di tanta gente che ha cercato di costruire un mondo migliore. Che ne sapevamo noi di Pol Pot? Si ricordi che quando combattevamo per il pane della povera gente, i suoi americani buttavano il napalm sui bambini vietnamiti. Si vergogni. Le scrivo perché almeno faccio qualcosa per occupare le mani, se no a lei e al suo degno compare di sacrestia, una bella schiarita alle idee a cazzotti non gliela levava nessuno. Ricaverà da questa frase l’idea che i comunisti sono i soliti violenti. Tranquillo, un posto allo zoo con delle belle banane, glielo riserveremo volentieri.
Gino Ferrari – email
Ho scelto questa lettera fra le centinaia ricevute a commento del mio articolo di ieri perché è l’unica critica, si fa per dire. Tutte le altre esprimono opinioni favorevoli alla mia. Di solito, se la stragrande maggioranza dei lettori è d’accordo con me, mi domando dove ho sbagliato. Stavolta non è così. Sono contento di aver messo il dito nella piaga. Il problema è il solito. Che diritto hanno comunisti e ex comunisti di impartire lezioni di democrazia e liberalismo, loro che poveracci hanno creduto decine di anni nella dittatura del proletariato e idiozie simili, adorato Lenin e Stalin, Kruscev e Breznev, Mao, Pol Pot, Marcos e Fidel Castro? Ebbene, l’autore della lettera pubblicata, sorvolando su queste quisquilie mi copre d’insulti: squallido, reazionario, disonesto e arricchito, tanto per citare alcuni elementi di spicco del suo nobile frasario. Ciò è la dimostrazione che comunisti si diventa e quasi sempre si rimane, difficilmente rinunciando ad ammettere l’errore e a scusarsene. Figuriamoci. Gino Ferrari scrive a Libero per dire: che ne sapevamo noi di Pol Pot? Ovvio, loro, maestri di etica marxista, uomini di moralità superiore, raffinati intellettuali, ignoravano chi fosse e cosa facesse Pol Pot. Confondevano Pol Pot con pop corn. Non sapevano quanto avvenisse nei gulag. Consideravano Stalin un grande statista. Applaudivano ai carrarmati che schiacciavano la sollevazione degli ungheresi. Non dissero una parola quando Kruscev denunciò gli orrori del suo predecessore; non fiatarono quando la Polonia fu aggredita da Mosca; balbettarono quando Praga venne invasa dai sovietici allo scopo di ristabilire l’ordine rosso. Già, si trattava di impedire ai cecoslovacchi ovvero ai reazionari disonesti di strappare il potere al popolo. I comunisti italiani, pur con qualche distinguo, non si staccarono mai da Mosca. Ne seguirono gli ordini fino all’ultimo e ne percepirono i finanziamenti con la disinvoltura di chi è persuaso di essere dalla parte della ragione. Negli anni Settanta i Consigli comunali di Milano e Roma, e perfino quelli di Fiorano e di Caronno Pertusella, approvavano mozioni in favore dei vietcong e contro l’intervento degli imperialisti americani. Le Brigate rosse, che gambizzavano e uccidevano, erano giudicate con benevolenza: compagni che sbagliano, sottolineava la stampa (tutta) di sinistra. Ogni sabato un corteo di studenti dal cervello sconvolto; sprangate in testa a chi avesse in mano il Giornale di Montanelli e la Notte di Nutrizio; prima monetine poi cubetti di porfido addosso alle Forze dell’ordine; giudici e giornalisti giustiziati per strada; università e fabbriche occupate; picchetti firmati Cgil. Eccoli i frutti del comunismo, del lottacontinuismo, di Potere operaio, Prima Linea, gentaglia con la bava purpurea alla bocca; espropri proletari; rapimento e uccisione di Aldo Moro, piagnone barese, ma innocente. Attacchi all’Amerika. Attacchi alla Dc. Quel pistola di Paolo Pasolini, stroncato da un gay prostituto, venerato quale santone progressista, scrisse sul Corriere che bisognava processare la Democrazia cristiana in piazza. Il commissario Calabresi fu assassinato un giorno d’autunno perché i cretini di Lotta (supportati da Panorama e l’Espresso), e non solo loro, sostenevano che egli avesse gettato Pinelli da una finestra della Questura. Robe da matti. I signorini compagni odiavano Reagan e idolatravano Breznev. L’intellighenzia ubriaca della sinistra e dell’extrasinistra godeva davanti alle stragi educative della Rivoluzione culturale cinese. Era opinione diffusa, in questa Italietta inebetita dalla falce e martello, che il comunismo fosse una macchina perfettibile eppure una bella macchina, mentre il capitalismo una carretta destinata ad autodistruggersi; nelle redazioni dei giornali se non eri almeno simpatizzante del Pci venivi guardato con disprezzo e ostacolato nel lavoro; Walter Tobagi che, nonostante tutto, riuscì a emergere fu ammazzato da una banda di figli di papà (assoldati chissà da chi) una mattina di maggio. Naturalmente la responsabilità del casino nazionale era addossata ai fascisti (nonostante il Msi avesse il quattro per cento dei voti) o alla Dc. Nessuno ci faceva caso: dopo ogni strage (Piazza Fontana, treno Italicus e stazione di Bologna) attribuita ai democristiani o ai neri, il Pci avanzava e gli altri indietreggiavano. Cui prodest, a chi giova?, si domandavano gli scribi democraticamente avanzati. Appunto. A chi giovava se non ai rossi? In quegli anni ne abbiamo viste di tutti i colori, ma predominava il vermiglio. Il mondo era spezzato in due spicchi: comunisti contro capitalisti. I comunisti hanno fatto la fine che meritavano, morti suicidi. Ma i superstiti seguitano a sentirsi migliori, buoni, quelli che combattevano e combattono a fianco della povera gente. Non smettono di vantarsi. Date un’occhiata a Fassino, ai vari Fassini della Quercia. Soloni. Se la tirano da soloni. Loro, che si sono inginocchiati dinanzi a qualunque dittatore sanguinario, sfottono Berlusconi e tutti noi perché siamo con l’Occidente, noi consapevoli dei limiti dell’uomo, ma anche consapevoli che l’uomo comunista se non è delinquente è stato con i delinquenti dei quali ha condiviso idee aberranti e maialate contro l’umanità. Con quale coraggio sono ancora in giro a predicare la virtù. Quale virtù? Statevene zitti. Nessuno di noi vi rinchiuderà nei gulag. Noi i gulag non li abbiamo. Andate in moschea, se volete stare con quelli che vi piacciono. In ginocchio lo siete già. Buon ramadam, compagni.
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