Zootecnia Flai: tagli di operai altrove, probabili esuberi d’impiegati in Umbria


Marina Rosati


PERUGIA – Umbria baricentro del gruppo Petrini-Mignini a discapito degli altri siti produttivi italiani. Se la zona di Bastia-Assisi è destinata a diventare il fulcro dell’attività del gruppo agroalimentare umbro le altre zone italiane dove ci sono diversi stabilimenti sembrano invece perdere peso. I vertici della Petrini, acquisita recentemente dalla vicina “Mignini” di Petrignano hanno messo nero su bianco il futuro e lo sviluppo del gruppo.
Tutto scritto in un piano industriale, presentato prima del previsto, che preoccupa i sindacati nazionali di categoria per la fine degli altri siti produttivi italiani. “Ci sono diverse preoccupazioni – spiega il segretario nazionale della Flai-Cgil Ivano Comotti – perché a fronte di una saturazione degli impianti su Bastia Umbria si ipotizza la chiusura del sito di Modugno in provincia di Bari, quella di Caifana a Napoli e la riduzione del personale a Padova e Alessandria. In tutto si parla di circa 42 esuberi nella produzione. Anche se per ora è soltanto una stima – spiega Comotti – qualche problema in Umbria ci potrebbe essere sulla parte funzionale: si parla infatti di una ventina di impiegati in più. Per il momento però non abbiamo conferme su questo dato e aspettiamo il confronto con l’azienda”. Dal lato produttivo la strategia complessiva dell’azienda sembra dunque rivolta a potenziare i siti umbri, portandoli alla saturazione completa ed, eventualmente al riassorbimento del personale, chiudendo o razionalizzando le altre sedi. Dal lato invece funzionale sembra esserci l’intenzione di un’integrazione tra Petrini-Mignini volta ad evitare doppioni, razionalizzando le risorse, gli uffici e gli staff Bastia tecnici.
“Fino ad ora – conclude Comotti – l’azienda è stata poco attenta ai risvolti occupazionali, basti pensare alla chiusura di Catania dove lavoravano tre persone e di Cagliari dove c’erano invece una decina. Adesso dovremo valutare bene il piano industriale e comunque mi sembra che i vertici del gruppo abbiamo cercato di amplificare il problema congiunturale, legato all’influenza aviaria. Nessuno nega che ci sia questa preoccupazione ma è limitata e di fatto, avendo inciso per il 10% della produzione, va distinta da una questione strutturale che l’azienda vuole invece affrontare”.

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