Il signore in giallo

Anche per questo il rapimento di Ettore Petrini, industriale della pasta, Spigadoro il marchio di fabbrica, è un delitto senza colpevoli

Alvaro Fiorucci

Presero il telefonista, ma quando la sua voce venne messa a confronto con la registrazione della richiesta di 5 miliardi per il riscatto, cadde l’indizio che doveva incastrarlo: si era operato alle corde vocali, erano saltati i parametri della comparazione; non c’era altro da fare, lo rimisero in libertà. Anche per questo il rapimento di Ettore Petrini, industriale della pasta, Spigadoro il marchio di fabbrica, è un delitto senza colpevoli.

Un cold case giudiziario. Sono le 19 del 15 ottobre 1982, Ettore Petrini, 34 anni, figlio di Carlo imprenditore di punta, presidente degli industriali perugini è sulla sua Golf bianca. Uscito dallo stabilimento di Bastia Umbra, è diretto a Perugia. C’è una cena tra conoscenti, è atteso per le 20. Lo aspettano anche quattro o cinque banditi che a un incrocio gli vanno addosso con una grossa cilindrata: bersaglio centrato, incidente simulato e utilitaria dell’obbiettivo scaraventata nel fosso della frazione Santa Lucia. In quel momento in Umbria c’era un solo precedente: Guido Freddi, 13 anni, rapito di notte a Valfabbrica, sul portone di casa. Forse la stessa banda, forse l’anonima sarda che colpiva in Toscana e si rifugiava in Umbria. Un caso irrisolto anche questo. Il copione è lo stesso di tanti altri andati o meno a buon fine. Silenzio per un paio di giorni, poi una serie di contatti telefonici, la prova che l’ostaggio è vivo, la richiesta del riscatto che è altissima per poi scendere durante la trattativa che è estenuante. Per Ettore Petrini- secondo alcune fonti- i miliardi sono diventati qualche centinaio di milioni. Seicento milioni di lire sarebbero stati consegnati da un emissario della famiglia ad un emissario della banda. Forse ad Assisi, forse nel viterbese. Tre giorni prima l’ultima telefonata con l’accordo definitivo. Poche ore prima, da un’altra parte della regione, a Gubbio, il ritrovamento dell’armamentario di corde cappucci, guanti e nastri adesivi, l’armamentario di un sequestro di persona. L’occorrente per imprigionare e portare via uno dei cementieri della zona. Il tutto era occultato lungo la strada che porta a una delle loro ville in frazione San Marco. Forse una soffiata ha scombinato un piano criminale. Il 20 novembre poco dopo le 23 Ettore Petrini è libero: bussa alla caserma dei carabinieri di Otricoli dopo aver camminato per un chilometro nella nebbia e chiede di poter telefonare a casa. L’incubo è finito dopo 37 giorni, sempre nella stessa stanza, le mani legate dietro la schiena, senza vedere in faccia i carcerieri, senza sentire la loro voce perché incappucciato e con le cuffie sulle orecchie. Le indagini puntano una banda di giostrai che si muove da Roma o da Napoli e certe comunità nomadi una certa specializzazione nel ramo l’hanno acquisita. Ma per dar dietro ai rapitori dell’industriale di Bastia Umbra non si trova un indizio. Fino al 18 gennaio 1984 quando a Castiglion della Pescaia è in manette un giostraio di Passignano sul Trasimeno. È invischiato in un sequestro a Pescara, quello di Alfredo Capocchietti e lo sospettano di essere il telefonista. La voce del telefonista è incisa su nastro, ma non può essere confrontata con quella dell’arrestato. Il quarantenne di Passignano in quei due anni che nessuno l’aveva cercato si era dovuto operare alle corde vocali. Adesso ha un’altra voce. E su questo intervento chirurgico si arena l’inchiesta e il rapimento si congela ad opera di ignoti.

Alvaro Fiorucci

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